ABI-Censis: dai territori forte domanda di politiche di sviluppo

(15 gennaio 2014) Non solo Nord e Sud, ma 8 aree territoriali ben identificate attendono interventi. Da analisi ABI–Censis necessarie azioni su cinque assi: innovazione, internazionalizzazione, sistemi di garanzia del credito, reti d’impresa, semplificazione e superamento vincoli burocratici. Settore bancario pronto a valorizzare vitalità dei territori  


​Otto Italie in cerca di politiche di sviluppo. È quanto emerge dalla ricerca “Territorio, banca, sviluppo – I sistemi territoriali dentro e oltre la crisi”, curata dall’ABI e dal Censis, presentata oggi a Roma nel corso di una conferenza stampa con Antonio Patuelli, Presidente dell’ABI, e Giuseppe De Rita, Presidente del Censis.
Il momento e le criticità del quadro economico esigono interventi di politica economica chiari, sostenibili, praticabili, stabili, capaci di fare fronte o di sanare i fattori di rischio che possono ulteriormente aggravare la situazione. E ciò è vero sul fronte del mercato del lavoro, su quello di un’elevata pressione fiscale incompatibile con la fase di recessione che il Paese sta attraversando, sul fronte del sostegno all’innovazione, come su quello del divario di sviluppo tra territori. Gli attori istituzionali sono chiamati ad operare a livello centrale e decentrato, affrontando con politiche differenziate le specificità che il Paese esprime. I molti pieni ed i molti vuoti, le numerose minacce e le opportunità che emergono dalla segmentazione territoriale sono la prova di una domanda di politiche economiche che spesso tardano ad arrivare, o che talvolta non appaiono tarate sulle effettive esigenze dei territori.

Non solo Nord e Sud, ma otto Italie
Di là dal Centro-Nord, con una struttura produttiva robusta nonostante la crisi, e Sud, in ritardo in termini di sviluppo, emergono otto grandi segmenti territoriali, che permettono di ragionare sulle diverse vie di uscita dalla crisi, partendo dalle energie che ciascun gruppo territoriale è capace di esprimere.

Fare banca nei territori
Le banche sono pronte a valorizzare la vitalità dei territori, ma il settore non può essere né il solo né il primo attore a guidare un percorso di ripresa o di riposizionamento del Paese. Non è di “più banca” che i territori hanno bisogno, né al Nord e tanto meno al Sud, ma di politiche economiche organiche e chiare in grado di rafforzare i fondamentali del Paese.
Se si prendono in considerazione alcuni indicatori sull’operatività bancaria, sull’interazione degli istituti di credito con le “comunità” di territorio e sul grado di presenza della banca nel territorio, si riescono ad individuare alcuni fatti interessanti che smentiscono alcuni luoghi comuni:
• i dati disponibili non consentono di distinguere gli atteggiamenti del settore bancario nei confronti delle aree economicamente più solide o in ritardo di sviluppo. Inoltre, la contrazione degli impieghi che è stata sperimentata in questi due anni di crisi, dopo il forte aumento degli anni precedenti, probabilmente non è determinata dall’irrigidimento del settore bancario nei confronti delle imprese, quanto piuttosto da una forte flessione della domanda di credito a causa del forte quadro recessivo in cui operano le imprese;
• parallelamente, il livello delle sofferenze legate agli impieghi è cresciuto negli ultimi anni di crisi. Le criticità sono decisamente più marcate nei territori in ritardo di sviluppo e nei quali la crisi economica agisce con intensità ancora maggiore;
• permane una differenza sostanziale tra l’ammontare medio degli impieghi erogati sia alle famiglie che alle imprese, tra le diverse aree del Paese. In particolare, i valori medi degli impieghi alle imprese delle aree più sviluppate e con un tessuto produttivo più fitto, sono consistentemente più elevati di quelli registrati nelle aree in ritardo di sviluppo, territori in cui la dimensione delle imprese e quindi la domanda di credito è sensibilmente più contenuta;
• l’offerta bancaria ha seguito la domanda, evidentemente più forte nei territori con una marcata capacità di crescita, di innovazione e di redistribuzione del reddito, meno nei territori in ritardo di sviluppo;
• non esiste uno squilibrio strutturale, ovvero una presenza capillare del settore bancario nei territori più forti e sviluppati e, in proporzione, una presenza più diradata e più debole nei territori a minore tenore di crescita. Se si considerano i valori intermediati (impieghi e depositi) per singolo sportello, emergono sostanziali similarità tra le 8 aree considerate nell’analisi.
Le azioni necessarie
Occorre una definita politica industriale che indichi i settori strategici su cui il Paese intende investire le risorse pubbliche e le azioni di sostegno all’export. I limitati risultati delle riforme del mercato del lavoro, i notevoli problemi generati dalla riforma del sistema pensionistico, la mancata crescita dei redditi ed il forte ridimensionamento della capacità di spesa delle famiglie sono la prova della complessità dei problemi da affrontare e, nello stesso tempo, la dimostrazione che il Paese necessita di politiche organiche che possono essere solo di competenza di chi è chiamato ad esercitare l’azione di governo e non di altri attori del sistema economico.
Occorrono quindi politiche economiche per l’innovazione; per sostenere l’internazionalizzazione; per potenziare sistemi di garanzia del credito, che mitighino il rischio in una fase di diffusa insolvenza; per incentivare le reti di collaborazione, per un’azione delle Pubbliche Amministrazioni che, soprattutto al sud, non impongano vincoli burocratici e pesi ulteriori ad un sistema d’impresa  fiaccato da anni di crisi. Emerge con evidenza che banca, impresa, sistema sociale e territori sono strettamente legati. Dalla capacità delle politiche pubbliche di cogliere e assecondare i fenomeni di cambiamento dipenderà gran parte delle possibilità di crescita o di ulteriore involuzione per il Paese. Il mondo bancario vuole svolgere a pieno il ruolo di vettore di interventi per lo sviluppo.