L’impatto di Basilea3

Regolamentazione uniforme, analisi dell’impatto di Basilea3 sulle Pmi e verifica della loro effettiva rischiosità aggregata, questi i temi  al centro della due giorni dedicata dall’ABI alla direttiva europea sui requisiti di capitale. Tra le recenti novità, che si auspica sia confermata con un via libera definitivo, la prima approvazione  di una soluzione volta e non applicare, per la parte dei prestiti alle Pmi, i maggiori requisiti di capitale richiesti alle banche dai regolatori dopo la crisi. Si tratta del  ‘Pmi Supporting factor’, la proposta sostenuta in maniera congiunta da banche e imprese per una sua applicazione a livello europeo.  


​Le principali questioni aperte dello scenario regolamentare e l’analisi d’impatto della normativa prudenziale (Basilea3) sulle piccole e medie imprese sono i due binari su cui si è concentrato il dibattito promosso dall’ABI nel corso del Convegno annuale dedicato all’implementazione della tabella di marcia di Basilea3, in programma il 26 e 27 giugno a Roma.
La due giorni è partita con una chiara indicazione: ottenere una regolamentazione uniforme e quindi una effettiva unione bancaria a livello europeo sono obiettivi oramai ineludibili per avere più Europa. Nel convegno organizzato dall’ABI si sono approfonditi i temi che ruotano intorno a Basilea 3 e alle altre regolamentazioni rilevanti per i mercati bancari, con l’obiettivo di cogliere gli elementi di criticità ancora presenti e le possibili linee evolutive con impatto sia sulla gestione bancaria sia nel rapporto banche e imprese.
Tra questi, è emerso che ancora non è assicurata la sincronizzazione temporale della regolamentazione USA con l’UE, e soprattutto negli Stati uniti non sembrano esservi proposte di nuove regole per la gestione del Rischio di liquidità (causa primaria della crisi finanziaria partita proprio oltre oceano).
Ancora non è assicurata una piena comparabilità dei coefficienti patrimoniali. Pertanto occorre una misura precisa dei rischi, che consenta coerenza, tra intermediari e tra Paesi, nella modalità di computo delle attività di rischio ponderate (Rwa). Le modalità con cui viene nel concreto realizzata l’attività di supervisione a livello nazionale devono essere omogeneizzate, anche in termini di modelli interni di valutazione del rischio. Si devono evitare disparità competitive a sfavore delle nostre banche. 
E’ rilevante il rischio di vedere vanificata l’impostazione di un mercato Eu unico, anche a motivo della recente proposta di introdurre flessibilità nazionali nel fissare requisiti patrimoniali e ponderazioni più severe. Inoltre, in una corsa al livellamento verso l’alto da parte delle diverse Autorità, si potranno determinare gravi ricadute sull’economia reale che necessita del sostegno bancario.
“Banche e imprese, insieme, nei mesi scorsi hanno chiesto alla Commissione e al Parlamento europeo di riconoscere l’importanza delle piccole e medie imprese per la crescita  – ha spiegato Giovanni Sabatini, Direttore generale dell’Associazione bancaria – e di verificare l’effettiva esistenza di un minor rischio aggregato,  che renda ingiustificata l’estensione ai portafogli di Pmi dell’inasprimento dei requisiti minimi patrimoniali delle banche che le finanziano. In un momento di scarsa crescita come quello attuale, è fondamentale evitare un credit crunch, provocato dalle regole –  ha aggiunto Sabatini – che scatenerebbe i suoi effetti più rilevanti proprio su quelle piccole e medie imprese che rappresentano il nucleo del mondo produttivo italiano, composto per il 95% da realtà produttive di piccole e medie dimensioni e giocano un ruolo chiave nell’economia dell’intera Unione europea”.
“Le banche stanno svolgendo un’azione fondamentale per il Paese, per le sue imprese e le sue famiglie. L’impegno del settore è massimo, anche in un quadro di scarsa redditività e di risorse limitate. Una decelerazione del tasso di crescita del credito potrebbe avere effetti negativi rilevanti sulla velocità di ripresa dell’economia, con un diverso impatto tra Europa e Stati Uniti a causa della diversa dipendenza dal credito bancario che, in base alle nostre stime, per le imprese europee si attesta al 75%, mentre per quelle d’oltreoceano non va oltre il 23%” ha così concluso il Direttore generale dell’ABI.
Intanto, un primo importante passo avanti è stato fatto,  la Commissione Affari economici e finanziari del Parlamento europeo, lo scorso 14 maggio, ha approvato un emendamento alla Direttiva europea sui requisiti di capitale (Capital requirement directive che recepisce le regole prudenziali di Basilea3) e accoglie il “Pmi Supporting factor”, fattore di correzione applicato ai finanziamenti alle piccole e medie imprese, fortemente sostenuto dall’ABI e dalle maggiori associazioni di imprese italiane. Si tratta di un fattore di ponderazione che tiene conto del minor rischio sistemico dell’esposizione bancaria nei confronti delle Pmi e che, applicato al calcolo dei risk weighted assets (Rwa) delle piccole e medie imprese, permette di compensare l’incremento del requisito patrimoniale minimo chiesto alle banche. In pratica, sui finanziamenti concessi alle Pmi, il requisito patrimoniale richiesto alle banche resterebbe all’8% attuale senza salire al 10,5% previsto dalla normativa. Secondo la proposta fatta dall’ABI e dalle altre rappresentanze d’impresa italiane, sostenuta con forza dalla Commissione europea e fatta propria dalle associazioni bancarie e imprenditoriali europee, il “Pmi Supporting Factor” andrebbe applicato a tutte le banche a prescindere dal metodo di ponderazione del rischio che queste utilizzano. In tal modo il fattore correttivo verrebbe applicato anche a quei piccoli istituti di credito che non adottano metodi di rating interno, ma che finanziano quasi esclusivamente Pmi, evitando così potenziali restrizioni di credito, soprattutto, per le medie e piccole realtà produttive.